La sesta ed ultima mostra della rassegna Simboli politici raggiunge il suo ispiratore, Giacinto Cerone (Melfi 1957 – Roma 2004) e la sua riflessione sulla scultura che comprende la natura stessa dell’artista: “Oggi la scultura non è una forma, è il risultato di forti compressioni interiori. Non possiamo più permetterci il lusso di comporre qualcosa di formale, bello all’occhio. Dobbiamo veramente tradire la possibilità di essere al mondo. Simboli politici dobbiamo essere, l’artista oggi ha senso soltanto se è un uomo altamente politico, ma un uomo altamente politico è un uomo con l’orrore di sé, è un uomo con la condizione del sé movimentata da disturbi continui della società.
La cosa importante è di considerare sé stesso come l’opera, ma lo dobbiamo fare davvero in una società contemporanea. Il quadro è, quando porta con sé tutta la vitalità dell’uomo che l’ha fatto. Dobbiamo costruire delle persone fortissime nella loro debolezza. Dobbiamo renderci conto di cosa siamo” (Giacinto Cerone “Selfportraits”, Raisat, Rai Trade, Filmago)
Con altra formulazione: “queste maledizioni, queste bestemmie, questi lamenti, queste estasi, questi urli, questi pianti, questi Te Deum, […] sono, per i cuori mortali, un oppio divino!
Sono un grido replicato da mille sentinelle, un ordine rimandato da mille portavoci, un faro acceso su mille cittadelle, un richiamo di cacciatori sperduti nelle grandi boscaglie!
Ché davvero, o Signore, la miglior prova di dignità a noi concessa è proprio tale singhiozzo che, rotolando d’era in era, viene a morir sulle rive della tua eternità.”
(Charles Baudelaire “I fiori del male”, Marsilio)
Approfondimento: dagli estratti citati appare negli autori lontani cronologicamente la scure di un pericolo avvertito in comune, che spinge i due a risolverlo accentando lo stato d’animo negativo, così che da questo nodo esistenziale si conservi intatta e duratura un’ultima disperata vitalità. L’ossimoro, messo al centro, getta al confino la sola vera questione nascosta letteralmente ad arte, della caducità dell’attività poetica, intesa qui nelle forme del verso e della plastica. Se è dai punti cardini della coscienza che si configura l’attività poetica, è al suo culmine che si dissecca ed esaurisce, impoverita dal procedere inesorabile dell’inaridire del soggetto consapevole.
Conclusione: “Non so più, ora, quale sia il problema. L’angoscia non è più segno di vittoria: il mondo vola verso sue nuove gioventù, ogni strada è finita, anche la mia. Come ogni vecchio, io lo nego […]. Negando il mondo, nego le sue nuove ère, o provo per esse furia indiscriminata […]. Tu splendi sopra un sogno, buio sole: chi vuole non sapere, vuole sognare…”. (Pier Paolo Pasolini “Al sole” da Poesie incivili, Mondadori)
The sixth and last exhibition of the cycle "Political symbols" shows its inspirer, Giacinto Cerone (Melfi 1957 - Roma 2004) and his reflection on the sculpture representing the nature of the artist himself: "Today the sculpture is not a form, it's the result of strong inner compressions. We can't anymore afford the luxury of composing something formal, pleasing to the eye. We really must betray the possibility to be in the world. We must be political symbols. To be artist today has a sense only being real politicians, but a real politician is a man with the abhorrence of himself. Is a man with his inner condition animated by the constant disturbance of society. The important thing is considering oneself as the work, but doing it really in a contemporary society. The painting is, when it carries all the vitality of the man who painted it. We must generate very strong persons in their weakness. We must realize who we are" (Giacinto Cerone "Selfportraits", Raisat, Rai Trade, Filmago)
Close examination: from the mentioned extracts both the authors, chronologically distant one another, sense the threat of a danger and accept to solve it admitting the negative mood. This existential bonds preserve a last desperate, undiminished and long lasting vitality. The oxymoron, put in the middle, relegates the only true, artfully hidden question from the poetical activity's transience, considered here in the verse and plasticity's forms. If the poetical activity is developed from the main points of the conscience, at its peak it dries up and withers away, impoverished by the inexorable hardening's process of the conscious person.